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Diagnosi prenatale

Diagnosi prenatale

DIAGNOSI PRENATALE

Circa il 3% dei bambini nasce con un difetto congenito, ossia con un’anomalia insorta durante la gravidanza. Si ritiene che il 60-70% di questi difetti sia prodotto da cause non identificabili, il 20% da alterazioni dei geni, il 10% da anomalie cromosomiche. E’ noto che il rischio di un qualunque sbilanciamento cromosomico è correlato con l’età materna, aumentando progressivamente :

RISCHIO DI SBILANCIAMENTO CROMOSOMICO IN RAPPORTO ALL’ETA’ MATERNA (alla nascita)

etàrischio etàrischio etàrischio
151/1859261/876371/168
161/1789271/784381/153
171/1712281/695391/97
181/1631291/611401/76
191/1546301/532411/59
201/1456311/456421/45
211/1361321/392431/34
221/1264331/332441/25
231/1167341/278451/19
241/1070351/230461/14
251/972361/172

da “Genetica medica essenziale” – Piccola Novelli 1998

ESAMI  INVASIVI 
L’analisi citogenetica delle cellule fetali permette di individuare, già in epoca prenatale, le anomalie cromosomiche del nascituro. Le metodiche che consentono di ottenere il materiale fetale su cui poter svolgere l’esame sono diverse a seconda dell’epoca gestazionale: nel primo trimestre si ricorre al prelievo dei villi coriali (CVS), nel secondo all’amniocentesi.
Nel caso in cui si riconoscano condizioni di rischio specifico per altri difetti congeniti, si possono eseguire indagini particolari sui villi, sul liquido amniotico o sul sangue fetale.

1. Il prelievo di villi coriali
Attualmente questo esame si esegue tra la 10a e la 12a settimana di gravidanza;  il prelievo in 8a-9a settimana è stato da tempo abbandonato in seguito alle segnalazioni in letteratura di un aumento di anomalie degli arti fetali, dopo prelievo di villi eseguito in epoca precoce.
Un esame ecografico preliminare accerta la corretta epoca gestazionale, la sede placentare, la vitalità fetale, l’assenza di aree di distacchi corion deciduali ed esclude la presenza di grossolane malformazioni già rilevabili a questa epoca.  Sotto diretto controllo ecografico, si procede poi all’introduzione di un ago che, attraversata la parete addominale materna, raggiunge la placenta e se ne aspirano alcuni frammenti, i villi coriali.  Raramente il prelievo viene effettuato per via transvaginale.
Nei giorni successivi è consigliabile rimanere a riposo. A volte si osserva la comparsa di scarse perdite ematiche, di scarso significato clinico.

2. L’amniocentesi
L’epoca in cui viene svolto questo esame è compresa tra la 14a e la 18a settimana.
Come nel caso della villocentesi, un attento esame ecografico precede il prelievo che viene eseguito, poi, sotto guida ecografica continua.
Raggiunta la cavità amniotica, si prelevano 15-20cc di liquido amniotico (di norma 1 cc/settimana di gestazione).Una parte del liquido prelevato viene di norma utilizzata per la valutazione della quantità dell’alfa feto proteina (AFP), sostanza che è prodotta dal feto e che risulta elevata in presenza di alcune anomalie fetali quali, ad esempio, la spina bifida (malformazione della colonna vertebrale) e l’onfalocele (malformazione dell’addome). In caso di elevati valori di AFP, si consiglia l’esecuzione di un accurato esame morfologico fetale (ecografia di II livello) attorno alla 20-21 settimana di gestazione, volto ad evidenziare eventuali patologie malformative.
Entrambi i prelievi possono essere svolti a livello ambulatoriale, non richiedono anestesia e, generalmente, non comportano complicanze per la madre.

Metodiche
L’approccio tradizionale nella diagnosi prenatale di anomalie cromosomiche comporta la messa in coltura di cellule fetali ricavate da prelievi di liquido amniotico e la determinazione del cariotipo tramite l’analisi al microscopio dei cromosomi in metafase. Benché tale analisi sia abbastanza accurata, le colture cellulari impongono lunghi tempi di attesa che si aggirano intorno ai 15-20 giorni. Il cariotipo tradizionale, inoltre, non garantisce che il feto sia esente da malattie genetiche o alterazioni cromosomiche (delezioni o duplicazioni) di piccole dimensioni. Infatti, questo tipo di esame fornisce informazioni solo sulle principali anomalie cromosomiche (ad esempio la trisomia 21, o Sindrome di Down, le trisomie 18 e 13, la monosomia X, o Sindrome di Turner) attraverso la determinazione dell’intero assetto cromosomico fetale. Con il cariotipo tradizionale si indaga essenzialmente su quelle forme patologiche che interessano il numero e l’aspetto grossolano dei cromosomi. Nulla si potrà sapere su piccole alterazioni dei cromosomi (che sono un numero elevatissimo, anche se piuttosto rare) o sulla conformazione dei geni che sono contenuti all’interno dei cromosomi. Lo studio del cariotipo fetale, a differenza dell’amniocentesi rapida con la tecnica QF-PCR, presenta un’ importanza diagnostica elevatissima perché evidenzia le anomalie cromosomiche più severe e frequenti ( come ad esempio le trisomie ) a carico di tutti i cromosomi, tuttavia, a causa dei limiti di risoluzione della tecnica, piccoli riarrangiamenti cromosomici potrebbero non essere facilmente evidenziabili. Con il cariotipo tradizionale, infatti, si riesce ad evidenziare solo le anomalie strutturali più grandi di 10-15 Mb.
Grazie ai recenti progressi della citogenetica molecolare è adesso possibile esaminare i cromosomi in maniera più approfondita ed accurata, utilizzando il cosiddetto Cariotipo Molecolare, procedura diagnostica che impiega una tecnica molecolare innovativa conosciuta come array-CGH. Essendo una tecnica molecolare, che non necessita di coltura cellulare, con il Cariotipo Molecolare è possibile ottenere un’analisi cromosomica approfondita in pochi giorni (3-5gg lavorativi), a differenza dei 15-20 giorni necessari con la tecnica tradizionale, riducendo al minimo i tempi di attesa dei risultati. Rispetto all’esame citogenetico tradizionale, l’analisi molecolare dei cromosomi ha una risoluzione molto più elevata (~100 volte). Ciò consente di identificare alcune patologie derivanti da alterazioni cromosomiche submicroscopiche (microdelezioni e le micro duplicazioni), non evidenziabili tramite il cariotipo tradizionale, aumentando sensibilmente l’accuratezza dell’esame. Il cariotipo molecolare, infatti, consente di effettuare rapidamente non solo lo studio dell’assetto cromosomico fetale, ma anche di un gruppo di 100 patologie causate da microdelezione / microduplicazione cromosomica (es. Sindrome di Di George, la Sindrome di Williams, la Sindrome di Praeder-Willi/Angelman) ed oltre 150 geni. Inoltre, grazie ad una sofisticata analisi bioinformatica, si ha la possibilità di definire con esattezza non solo la regione genomica alterata ma anche i geni in essa contenuta, permettendo così di verificare la patogenicità dell’anomalia cromosomica riscontrata e valutare le conseguenze cliniche. L’Array-CGH è una metodica molecolare che non necessita di coltura cellulare, quindi non è soggetta al rischio di mancata crescita e, di conseguenza, di ripetizione del prelievo, garantendo un risultato nel 100% dei casi. I limiti di tale tecnica in ambito prenatale sono rappresentati dall’impossibilità di identificare riarrangiamenti cromosomici bilanciati (non patologici) e i mosaicismi (cioè la presenza cioè di due linee cellulari con differente assetto cromosomico) con una linea cellulare scarsamente rappresentata (inferiore al 10% circa). Questa tecnica innovativa si differenzia cariotipo tradizionale prenatale in quanto meno laboriosa e facilmente automatizzabile, e quindi meno soggetta a rischio di errore. Inoltre, alcune sue particolarità tecniche consentono l’accertamento anche dei mosaicisti (non inferiori al 10%), e coadiuvata dalla QF-PCR permette di determinare la stato di zigosità in gravidanze gemellari come pure la rapida identificazione di contaminazione materna che non è apprezzata dalla FISH e dal cariotipo. Il cariotipo molecolare, a differenza dell’altra tecnica di amniocentesi rapida, la QF-PCR, fornisce in tempi similmente rapidi i risultati di eventuali anomalie a carico di tutti i cromosomi. In caso di necessità diagnostica, l’amniocentesi molecolare può essere integrata dalla diagnostica prenatale Molecolare infettivologica, che consiste nell’effettuare la ricerca con tecniche molecolari della presenza del genoma di agenti infettivi, (es. Citomegalovirus, Herpes simplex, Varicella Zooster, Rubeovirus, HIV, Toxoplasma gondii, Parvovirus). Il vantaggio del ricorso alla tecnica molecolare (Polimerase Chain Reaction – PCR) risiede nel fatto che si ricerca direttamente il genoma, ossia la forma replicativa, dell’agente infettivo, superando i metodi tradizionali indiretti che esprimevano la produzione anticorpale fetale (IgM). Tali metodi infatti risultano molto imprecisi poiché dipendono molto dalla variabile maturità del sistema immunitario a sua volta legato all’età gestazionale. Il tempo necessario per la diagnosi è di circa 2-3 giorni.
QF-PCR su liquido amniotico
1. l’esame non è sostitutivo dell’analisi cromosomica convenzionale, ma viene associato alla metodica tradizionale per offrire in tempi rapidi (3-5gg lavorativi) un esito preliminare su 3-5 cromosomi
2. permette di riconoscere trisomie o monosomie esclusivamente relative ai cromosomi: 13, 18, 21, X e Y
3. non identifica con certezza trisomie o monosomie parziali dei cromosomi analizzati
4. non riconosce:
– alterazioni cromosomiche strutturali (delezioni, traslocazioni, inversioni)
– la presenza di cromosomi marcatori soprannumerari
– trisomie o monosomie di cromosomi non compresi al punto 2

5. può non riconoscere la presenza di mosaici cromosomici;
6. non viene effettuata nel caso in cui il campione di liquido amniotico risultasse contaminato da sangue materno (anche in tracce) o tinto da meconio

L’errore di diagnosi è molto raro tuttavia è possibile che i risultati (in particolare in seguito al prelievo di villi coriali ) lascino spazio a dubbi di interpretazione, in questo caso si dovrà procedere ad ulteriori esami di laboratorio.

Rischi
Entrambe le tecniche descritte presentano un rischio abortivo intrinseco.
Per quanto riguarda il prelievo di villi coriali, il rischio è stimato nell’ordine del 3-4%; bisogna comunque considerare che il primo trimestre, epoca in cui viene eseguito l’esame, è quello gravato da una maggiore incidenza di aborto spontaneo. Il rischio legato all’amniocentesi è stimato, invece, attorno allo 0.5-1% .
Anche quando l’esame dei villi coriali o l’amniocentesi esclude la presenza di alterazioni cromosomiche nel feto, è possibile che durante il resto della gravidanza o alla nascita possano essere riconosciuti nel bambino dei difetti di altra origine, non rilevabili attraverso i due esami descritti che valutano solo una parte delle cause di anomalie genetiche.
Per la legge italiana (art. 6, legge 194/78) l’interruzione della gravidanza può essere praticato anche dopo i primi 90 giorni “quando sono accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.

ESAMI  NON  INVASIVI   (per il riconoscimento della sindrome di Down)
La sindrome di Down è la più nota anomalia cromosomica caratterizzata da ritardo mentale di variabile entità, presenza di malattie congenite ed aumento del rischio di malformazioni cardiache e a carico di altri organi e sistemi… Il rischio di avere un figlio affetto da questa sindrome aumenta progressivamente con l’età materna.
Il solo esame in grado di porre una diagnosi certa è l’analisi del corredo cromosomico fetale (villocentesi, amniocentesi) che, tuttavia, è gravato da un rischio tecnico di abortività. Per questa ragione, si è cercato di trovare degli esami non invasivi (ossia non gravati da rischi per il feto) in grado di porre una stima del rischio soggettivo di avere un figlio Down. Gli esami di screening (ossia NON diagnostici) pertanto forniscono una stima delle probabilità che quel feto possa essere affetto da patologia.

TRI-TEST:  è’ Il test biochimico storico (oramai obsoleto). Viene effettuato tra la 15a e la 17a settimana di gestazione (compiute), con preferenza per la 16a e prevede il dosaggio di 3 sostanze prodotte dal feto e dalla placenta che si ritrovano nel sangue materno: le alfa-feto-proteine (AFP), l’estriolo non coniugato (uE3) e la gonadotropina corionica umana (hCG). Dalla combinazione statistica di questi parametri ematici con l’età materna, il suo peso corporeo, l’esatta settimana di gravidanza e i dati ecografici dello sviluppo del feto, viene formulata una percentuale di rischio per quella specifica gravidanza. Il risultato del test di screening sul siero materno viene indicato come “negativo” o “positivo” (Un test positivo non indica che il feto sia malato ma identifica una donna con aumentato rischio di partorire un neonato affetto da sindrome di Down. Un test negativo non esclude completamente la possibilità di un neonato Down. Questo test identifica circa il 60-65 % dei feti affetti.

Test combinato (biochimico-ecografico) del secondo trimestre: Nato come elaborazione del “vecchio tri-test”, questo esame è finalizzato allo screening per la sindrome di Down, trisomia 18 e difetti del tubo neurale nel II trimestre di gravidanza. Tale metodica è soprattutto indicata nelle pazienti per le quali è particolarmente importante lo screening dei difetti del tubo neurale o DTN (per anamnesi positiva per questa patologia o in relazione all’assunzione di farmaci o patologia materna quale l’epilessia). Può essere inoltre riservata alle pazienti che si orientano verso la diagnosi prenatale in epoca tardiva, quindi oltre l periodo di eseguibilità dei test precoci del 1 trimestre (late booking).  Il test consiste nel prelievo di sangue materno per il dosaggio delle sostanze AFP e free beta HCG e nella misura ecografia della lunghezza del femore (LF) e del diametro biparietale (BPD) con successiva elaborazione combinata del dato biochimico ed ecografico al fine di ottenere una stima del rischio individuale per trisomia 21 e 18 del feto. Lo screening del 2 trimestre NON è un esame diagnostico e pertanto fornisce unicamente una stima delle probabilità che il feto possa essere affetto da trisomia 21 e 18.
L’attendibilità di questo esame è del 70%: ciò significa che ha la capacità di identificare il 70% dei feti affetti, tenendo conto del cut-off di 1:300 ((= il valore soglia di questo test di screening è 1:300

DIAGNOSI PRECOCE: in epoca compresa tra la 10a e la 13 a settimana di gestazione (CRL mm 45 – 78) possono essere eseguiti i seguenti test:
Bi-Test consiste nel dosare su sangue materno due sostanze denominate free beta HCG e PAPP-A (plasma proteina A associata alla gravidanza). Nella maggioranza dei casi anomali queste due sostanze sono presenti in quantità alterate. Il risultato del test biochimico evidenzia una percentuale di rischio specifico per la singola paziente nella specifica gravidanza in corso. Il test evidenzia circa il 70% dei feti affetti.

Nuchal translucency (translucenza nucale – NT) è un sottile spazio, verosimilmente a contenuto sieroso, che si estende dalla regione occipitale del feto lungo tutta la parete posteriore del collo fino alla parte superiore del torace fetale. Un aumento della NT è stato riscontrato in feti affetti sia da trisomia 21che da altre anomalie cromosomiche (quali la trisomia 18, sindrome genetica che causa un severo ritardo mentale ed altri gravi difetti congeniti; la maggior parte dei bambini affetti da questa sindrome non sopravvive oltre il primo anno di vita) . Si stima che questo screening ecografico, da effettuarsi tra 11a -13a settimana, sia in grado, da solo, di identificare circa il 70-80% dei feti affetti da anomalie cromosomiche.  Nelle gravidanze gemellari e nelle donne diabetiche insulino-dipendenti, l’NT è il test con maggiore predittività ed attendibilità (rispetto al solo bi-test ed ai test combinati). Qualche studio ha inoltre segnalato una maggiore attendibilità (sempre rispetto agli altri test non invasivi) nelle pazienti oltre i 35 anni di età.   Questo esame viene spesso eseguito anche dalle donne che hanno comunque intenzione di sottoporsi alla diagnosi invasiva al fine di scegliere a quale metodica affidarsi. Poiché la villocentesi ha un rischio maggiore (circa doppio di abortività rispetto all’amniocentesi : 1-2% versus 0.5-1%), il risultato della NT è in grado di indirizzare verso l’una o l’altra metodica (es. se la traslucenza evidenziasse un rischio aumentato di patologia cromosomica, il rischio maggiore della villocentesi sarebbe compensato dalla possibilità di diagnosi in epoca + precoce e quindi di un eventuale intervento meno cruento in caso di conferma di patologia; se invece la traslucenza evidenziasse un rischio ridotto, l’amniocentesi pur portando ad una diagnosi più “tardiva” potrebbe essere la tecnica scelta in virtù del minor rischio abortivo cui sottoporre un feto verosimilmente sano ).  Un ulteriore utilizzo di questa metodica è riservato alle pazienti che non desiderano fare diagnosi prenatale ma a cui il test viene proposto quale fattore di depistage per patologie materno-placentali (ipertensione, gestosi ) e malformazioni fetali non legate ad anomalie cromosomiche (cardiopatie congenite, etc).

Test combinato (biochimico-ecografico) del primo trimestre- Il test consiste nel prelievo di sangue materno per il dosaggio degli analiti PAPP-A e free beta HCG e nella misura ecografia dell’accumulo di fluido fisiologicamente presente nella parte posteriore del collo del feto (traslucenza nucale o NT) con successiva elaborazione combinata del dato biochimico ed ecografico al fine di ottenere una stima del rischio individuale per trisomia 21 e 18. L’attendibilità di questo esame è del 90%: ciò significa che ha la capacità di identificare il 90% dei feti affetti, tenendo conto del cut-off di 1:300 (=il valore soglia di questo test di screening è 1:300). La positività del test non indica una certa patologia ma un aumento del rischio specifico e quindi suggerisce l’opportunità di eseguire ulteriori approfondimenti diagnostici (test invasivi). La negatività dell’esame pur non potendo escludere completamente una patologia cromosomica, la rende estremamente improbabile (falsi negativi 1/5000).

Screening prenatale mediante ricerca del DNA fetale su sangue materno
Ultima arrivata, in campo di diagnosi prenatale NON invasiva, è l’analisi diretta del DNA fetale circolante nel sangue materno; il test ha un’attendibilità superiore al 99%, è eseguibile sia in caso di gravidanze singole che gemellari anche se ottenute con tecniche di procreazione assistita. In caso di gravidanze gemellari, però, non è possibile valutare le aneuploidie dei cromosomi sessuali ma solo quelle relative i cromosomi 13, 18, 21. E’ tuttavia possibile riscontrare la presenza/assenza del cromosoma Y. In caso di positività non è possibile discernere se solo uno o entrambi i feti siano di sesso maschile.
Il test è indicato quando l’età materna è avanzata (oltre i 35 anni), in caso di screening del primo trimestre positivo, in caso di quadro ecografico suggestivo di aneuploidia (anche se in questo caso altri tipi di indagini prenatali, quali il cariotipo fetale molecolare su villi coriali o liquido amniotico risultano più indicate in considerazione del maggiore detection rate), per tutte le gravidanze in cui è controindicata la diagnosi prenatale invasiva o quando ci sia un anamnesi personale/familiare di anomalie cromosomiche, come suggerito dalle linee guida recentemente emanate dall’American College of Obstetricians and Gynecologist e dalla Society for Maternal Fetal Medicine.
Al momento si tratta ancora di un test di screening, non di un test diagnostico; questo significa che un risultato “NEGATIVO- assenza di aneuploidia cromosomica” riduce notevolmente le possibilità che il feto abbia una aneuploidia dei cromosomi esaminati ma non può garantire che i cromosomi siano effettivamente normali o che il feto sia sano. In caso di positività, per confermare la diagnosi è necessario sottoporre la gestante ai test diagnostici invasivi come amniocentesi o villocentesi.
Non è possibile eseguire questo test a donne portatrici esse stesse di aneuploidie.

Il razionale del test, in breve, è il seguente:  durante la gravidanza, alcuni frammenti del DNA del feto circolano nel sangue materno. Il DNA fetale è rilevabile a partire dalla 5° settimana di gestazione. La sua concentrazione aumenta nelle settimane successive e scompare subito dopo il parto. La quantità di DNA fetale circolante dalla 10° settimana di gestazione è sufficiente per garantire l’elevata specificità e sensibilità del test che viene eseguito mediante il prelievo di un campione ematico della gravida. Tramite un’analisi complessa di laboratorio, il DNA fetale libero circolante è isolato dalla componente plasmatica del sangue materno. Successivamente, attraverso un processo tecnologico avanzato di sequenziamento massivo parallelo (MPS) dell’intero genoma fetale, che impiega tecniche di Next Generation Sequencing (NGS), le sequenze cromosomiche del DNA fetale vengono quantificate mediante sofisticate analisi bioinformatiche, al fine di determinare la presenza di eventuali aneuploidie cromosomiche.

ECOGRAFIA GENETICA O MORFOLOGICA PRECOCE. Un altro valido aiuto nel discriminare i feti a maggiore rischio di anomalie cromosomiche è offerto dall’indagine ecografica. Un esame che viene oggi proposto, è la così detta “ecografia genetica” o “morfologica precoce”. Con questo termine si intende l’esecuzione di un accurato esame ecografico di II livello che prende in considerazione la biometria e le proporzioni delle strutture fetali, la morfologia degli organi, il fenotipo e la postura del nascituro nonché i disordini della placenta e del liquido amniotico. Vengono inoltre ricercati, al fine di essere esclusi, tutti quei segni ecografici più facilmente riscontrabili nei feti affetti da patologia cromosomica. Questo specifico esame ecografico viene spesso proposto in associazione ai test combinati del 1 e del 2 trimestre o all’NT al fine di rendere ancora più sensibile il risultato dei precedenti esami.
L’ecografia genetica non sostituisce l’esecuzione della “morfologica” standard della 20-21 settimana, in quanto alcune strutture fetali non sono ancora indagabili ad un’epoca di gestazione così precoce come quella in cui viene eseguito questo test.

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